Pietra Verde delle Formazione di Livinallongo, le rosse Arenarie di Val Gardena, i calcari bituminosi neri della Formazione di Moena: tanti altri esempi di rocce in cui prevale un colore caratteristico che è utile anche per una prima classificazione di una roccia ad una determinata formazione geologica.
Ma cosa indica il colore predominante di una roccia e quali informazioni possiamo ricavare ancor prima di analizzarne la composizione chimica?
Partiamo dalle arenarie di Val Gardena, quelle rocce rossastre che affiorano in tante parti dell’Agordino, nella zona di Falcade, al Passo valles, a Voltago e ad Agordo dove un tempo erano note anche con il nome di “saldame” e utilizzate come fondente nei forni delle miniere di Valle Imperina. Datate al Permiano (circa 260 – 255 milioni di anni fa): l’ambiente di sedimentazione doveva corrispondere ad una piana alluvionale costiera, come testimoniato dalla sedimentologia delle rocce e dalle numerose tracce di rettili ed anfibi rinvenute in varie località delle Dolomiti e l’accumulo dei sedimenti era dovuto all’erosione di corsi d’acqua che incidevano i porfidi quarziferi della cosiddetta Piattaforma Porfirica Atesina ( o Vulcaniti Atesine).
Un ambiente quindi subaereo in cui l’ossigeno dell’atmosfera, legandosi ai minerali di ferro presenti nei sedimenti (come ad esempio la biotite), li ossidava poco dopo la deposizione colorandoli con quel caratteristico colore rossastro. questo processo ricorda, con le dovute differenze, quello che accade anche oggi quando il ferro esposto agli agenti atmosferici si ossida con formazione di “ruggine” rossastra.
Al contrario, quando in un ambiente l’ossigeno scarseggia o addirittura manca, i sedimenti assumono colorazione scura e, in presenza di abbondante materia organica in decomposizione, si possono formare rocce nerastre: è il caso delle rocce che sono impregnate da idrocarburi derivati proprio dai processi di seppellimento di materia organica in ambiente anossico (privo di ossigeno). Casi simili sono presenti anche in Agordino: le rocce della Formazione di Moena ne sono forse l’esempio più importante.
A Pónt, nella Valle di San Lucano, era attiva una cava coltivata nella parte superiore dei Calcari di Morbiach e, soprattutto, in sotterraneo e nelle pareti brecciate delle rocce nerastre della Formazione di Moena. Il colore si deve all’abbondante frazione organica della materia in decomposizione all’interno di piccoli bacini formatisi in seguito alla frammentazione della piattaforma carbonatica del Contrin.
Le rocce di Pónt hanno una buona maturità, intendendo con questo termine la capacità di una roccia di generare ed espellere idrocarburi è chiamata maturità: il bacino in cui queste rocce hanno accumulato una discreta quantità di cherogene, ovvero la miscela di lipidi e carboidrati che può portare alla liberazione di idrocarburi e petrolio, ma le dimensioni ridotte non ne hanno permesso lo sfruttamento.
Rocce nerastre sono presenti anche nella Formazione di Livinallongo, in particolare nella parte inferiore, i cosiddetti PlattenKalke: nella zona di Rucavà, lungo il Rio Pignazza, era attiva fino alla metà degli anni ’30 una cava di “Marmo nero”. In realtà blocchi calcarei bituminosi utilizzati per manufatti quali muri di contenimento stradali; anche qui la materia organica degradata all’interno di bacini a scarsa circolazione di ossigeno ha portato le rocce ad assumere questa colorazione scura.
Nelle Dolomiti sono noti anche fossili piritizzati che si possono rinvenire nelle rocce scure della Formazione di Livinallongo: la pirite è associata ad ambienti dove non c’è presenza di ossigeno ed il ritrovamento di questo solfuro di ferro è un ottimo elemento indicatore ambientale. In questa formazione, che prende il nome dalla valle dell’Alto Agordino nota in lingua tedesca come Buchenstein, si rinvengono anche letti di una caratteristica roccia di colore verde: si tratta della Pietra Verde di Livinallongo, un accumulo di ceneri vulcaniche aventi un’origine lontana dal settore dolomitico.
Oggetto di numerosi studi anche da parte di studiosi agordini, questa tufite presenta il caratteristico colore verde o verdastro dovuto alla presenza di un minerale particolare appartenente al gruppo delle miche: la celadonite e la roccia può assumere grana più grossolana, simile a quella delle arenarie, o più fine simile alle argilliti. Infine, anche se qui parliamo di un minerale e non di roccia, possiamo ricordare il gesso rosa del Passo Duran, deposto in ambiente lagunare come le altre rocce gessose (evaporitiche), ma qui con un alto tenore in magnesio che conferisce una tonalità rosacea molto particolare.
Chiunque frequenti le nostre vallate dolomitiche si sarà inoltre accorto del contrasto cromatico tra le chiare rocce calcareo-dolomitiche e le scure rocce vulcaniche (con i prodotti derivati dal loro smantellamento) che costituiscono molti massicci (Cima Pape, Piz Zorlét, Col di Lana, ecc.): qui il colore è legato al tipo di magmatismo che ha generato le rocce.
Quando in un magma sono presenti minerali come il ferro ed il magnesio le rocce derivate saranno chiamate basiche ed il loro colore scuro, quando invece il quarzo ed altri elementi prevarranno le rocce saranno più acide e di colore più chiaro. Senza addentrarci nella classificazione petrografica delle rocce magmatiche, qui basterà ricordare che le vulcaniti agordine sono in gran parte ricche in ferro e magnesio tanto da farle ricadere tra le rocce basaltiche scure, altre sono invece le cosiddette andesiti, derivate quindi da magmi ad acidità intermedia, comunque tutte dalla tonalità più scura rispetto ai chiari calcari e dolomie circostanti.
Rosso, nero, rosa, verde, indizi che contribuiscono a rendere più familiare la semplice osservazione di una roccia.