Cencenighe (Zenzenìghe in ladino) sorge alla confluenza delle valli del Biois e del Cordevole, percorse in lungo dagli omonimi torrenti.
Dal punto di vista turistico, il paese di Cencenighe vanta una certa vicinanza con gli importanti impianti sciistici dei comprensori di Falcade e di Alleghe, facilmente raggiungibili in pochi minuti di automobile; in estate, invece, si possono effettuare numerosissime escursioni tra le pendici dei monti Sanson ( o Cima Pape 2.503 m), Pelsa (, Anime (1.138 m) e Spiz de Medodì (2.409 m), che racchiudono la piccola conca dell’abitato.
Cencenighe ha una storia antica, si ritiene che fosse già abitato dall’anno 1000 grazie alla presenza sul suo territorio di materie prime minerarie, rame, piombo, ferro e argento e alla grande disponibilità di legno dei boschi che la circondano.
In passato gran parte dell’economia per gli abitanti di Cencenighe è stata legata alle acque ei due torrenti, Biois e Cordevole, che in parte attraversano il paese prima di fondersi e continuare insieme la corsa verso il Piave. La prodigiosa forza delle acque dei due torrenti veniva impiegata per far funzionare fucine, segherie e mulini, che proprio a Cencenighe erano numerosi. Verso la metà del ‘500 erano attive ben 3 fucine e due forni fusori, due segherie e un mulino.
L’attività in cui i cencenighesi erano maestri è quella degli scalpellini: in località “le Foppe”, a monte della frazione di Chioit, i grandi massi di dolomia originati dalla frana dei Mesaroz consentivano un’intensa attività.
Ancora oggi esempi di quest’arte si possono vedere nelle stupende fontane sparse tra le frazioni di Chioit, Bogo e Martin, scolpite interamente a mano nella dura pietra dolomitica dagli scalpellini. Presso la Pro Loco di Cencenighe Agordino è possibile avere la mappa delle fontane e dei capitelli votivi visibili nel piccolo comune.
La dura pietra da “le Foppe”, veniva lavorata per la costruzione di scalini, pavimenti, coperti, soglie e tavolini: se fate un giro lungo via Villagrande (la via più antica del Paese) o i Coi, oppure nelle frazioni di Bogo, Pradimezzo, Vare basse noterete tantissimi elementi architettonici di pietra, agli architravi, ai portali, agli scalini alle bordature delle finestre. A Cencenighe Agordino tutto parla di rocce e di un antico mestiere: possiamo dunque definire Cencenighe – il paese degli scalpellini!
Sembra che la perizia degli scalpellini locali si sia spinta oltre tanto da dare forma a vere e proprie statue come quele che ornano il parco-giarino della Villa Crotta – de’ Manzoni ad Agordo. Sulla base di documenti d’archivio è lecito pensare che in realtà i taiapièra si siano limitati solo ad estrarre le pietre necessarie per ricavare le sculture. Documentata è la fornitura dei materiali dalle cave i Cencenighe, ma non è da escludere la povenienza anche da altre cave dell’Agordino, come quella della località “i Piegn” – San Tomaso.
Testo estratto da Sulle tracce degli scalpellini di Luisa Manfroi
Di questa pietra sono costruiti anche la bella fontana tonda e il pavimento della chiesa di Canale d’Agordo.
Nel centro di Cencenighe è presente anche il museo a cielo aperto ” Gli scalpellini di Cencenighe” : i “taiapiera” che un tempo tagliavano le pietre sulle montagne e le trasportavano a valle.
Da non dimenticare un altro importante mestiere al quale i cencenighesi si dedicarono nel tempo addietro, quello dei carbonai ossia i “produttori” di carbone dalla legna. Di tale attività, ormai abbandonata a tempo, sono rimaste le Iàl, ovvero gli spiazzi nel bosco utilizzati per la combustione della legna: il carbone veniva ricavato con il metodo della disidratazione del legno, attraverso una lenta combustione. A memoria di questo passato è stato creato “El Troi de le Ial” o “Sentiero delle carbonaie” sotto il monte Pelsa.
Moltissime sono le testimonianze di antichi sacelli, sparsi un pò ovunque, dove i pellegrini e i viandanti si fermavano a chiedere protezione e trovare conforto spirituale prima di intraprendere o continuare il loro viaggio. La storia i uno di questi sacelli, dall’origine antichissima, ce la racconta Don Ferdinando Tamis nel suo “Le parrocchie dell’Agordino”, pubblicato nel 1949.
Dopo circa un chilometro da Cencenighe, alla testata del ponte della vecchia strada che prosegue lungo la riva destra del Torrente Biois, si trova un grosso macigno appuntito (probabilmente masso dell’antica frana dei Mesaroz), con sulla cima una rozza croce di ferro e vicino, quasi addossato, un tabernacolo. Viene chiamato capitello degli arconi o più comunemente Triol de la cros (capitello della croce).Pare sia stato eretto in memoria di un prete che passano per quel luogo, portando il viatico, morì sepolto da una frana insieme con altre due persone che lo accompagnavano. Si vedono tutt’ora incise nel masso tre croci, a ricordo dell’immane tragedia.
Ricordiamo le origini cencenighesi del famoso pittore Antonio Ligabue: la madre Elisabetta Costa nacque e visse per molti anni Cencenighe prima di emigrare verso la Svizzera.
Due le mostre dell’Artista Antonio Ligabue presso il Nof Filò, nel 1984 e nel 2005.
Bibliografia – Sulle tracce degli scalpellini di Luisa Manfroi